STORIE
18-05-2017 di redazione
I kenioti hanno eletto “Stellah” la canzone d’amore più bella di sempre in Kenya.
Niente a che vedere, né musicalmente né poeticamente con l’eterna Malaika (che per il vero non si sa ancora se sia un pezzo tradizionale tanzaniano o effettivamente sia stata scritta dal cantautore keniano Fadhili Williams), sarebbe un po’ come votare “Ti amo” di Umberto Tozzi invece di “Il cielo in una stanza” di Gino Paoli.
Ma le canzoni d’amore hanno spesso una forza emotiva che ha poco a che fare con accordi e armonie, perché nascono spesso da storie vere, da stati d’animo provati sulla pelle di chi le compone e che quasi sempre parlano di abbandoni, di sconfitte se non di rimorsi o tradimenti.
E’ il caso di “Stellah” la cui storia ha appassionato i keniani di almeno tre generazioni.
La canzone, un classico esempio di rhumba, ritmo ballabile centrafricano che si è evoluto nelle regioni intorno al Lago Vittoria, è stata scritta dal cantante e chitarrista Freshley Mwamburi, musicista nato e cresciuto alle falde del Kilimanjaro, nella provincia di Taita Taveta.
Siamo negli anni Ottanta, Freshley era innamorato di una ragazza di nome Stellah, conosciuta alle superiori. A quei tempi suonava in un gruppo che si chiamava in maniera quasi ironica “Everest Kings”.
Il musicista e la studentessa ebbero una breve storia d’amore, poi lei decise di lasciarlo e trasferirsi a Nairobi, dove si fidanzò con un altro keniota.
Il cuore spezzato per la bella fidanzatina ispirò a Mwamburi quella che sarebbe diventata la prima vera hit keniana. La canzone divenne un inno, approdò in tutte le radio nazionali e arrivò anche alle orecchie e nei negozi di dischi e musicassette di Tanzania e Uganda.
Non c’era gruppo di rhumba che nel momento clou della serata live non suonasse “Stella wangu”, (primo titolo del brano) la canzone degli innamorati.
La ballata assurse poi a leggenda quando Freshley, diventato leader dei Les Wanjika, una delle band più popolari di tutto l’Est Africa, raccontò tutti i retroscena di quella canzone, ovvero la storia vera di un amore, divenuto platonico, che durò più di dieci anni e si concluse il 17 maggio 1992, esattamente 25 anni fa.
Prima di allora furono anni di lettere, telefonate, speranze.
Stellah lasciò il fidanzato per trasferirsi a studiare in Giappone, e Freshley all’apice del successo, non volle mai farle mancare il suo affetto e decise anche di aiutarla economicamente negli studi.
Le scrisse decine di lettere appassionate, ma ricevette in cambio solamente amicizia e riconoscenza.
Tuttavia il musicista non smise mai di sognare che, al ritorno dall’Oriente, Stellah potesse decidere di sposarlo. Freshley scrisse altre canzoni dedicate a lei, praticamente l’intera sua produzione.
Il giorno in cui Stellah, finita l’università, decise finalmente di tornare in Kenya, l’eterno innamorato si presentò all’aeroporto di Nairobi con la chitarra a tracolla, pronto a cantare la canzone che lo stava rendendo famoso ovunque.
Ma la scena che si presentò davanti a Mwamburi fu assolutamente inaspettata.
Dalla scaletta dell’aereo insieme alla “sua” Stellah, scese anche un bambino in un passeggino e un ragazzo giapponese. La ragazza riconobbe il musicista e gli andò incontro abbracciandolo.
“E’ mio figlio – gli confidò candidamente – e lui è mio marito, un collega di università conosciuto in Giappone”.
A quel punto Freshley decise di non portare rancore (e come avrebbe potuto) ma di cambiare il testo di “Stella Wangu” che divenne semplicemente “Stellah”, fu incisa in un nuovo disco e raccontò l’intera storia. Una storia che ancora adesso commuove tantissimi keniani, che addirittura ogni anno ricordano il 17 maggio come “il giorno del ritorno di Stellah”.
Oggi Freshley Mwamburi non ama più parlare della storia di Stellah, la canzone che nel frattempo è stata incisa in versioni afro, reggae e in remix da discoteca.
Lui conduce una vita tranquilla, si esibisce nella zona di Machakos con i suoi Everest Kings e ogni tanto riceve qualche notizia dal suo amore di un tempo, dalla protagonista della canzone della sua vita e di quella di moltissimi kenioti.
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