PRODOTTI DEL TERRITORIO
13-07-2021 di redazione
L’Agave è una pianta appartenente alla famiglia delle Agavaceae; ne esistono più di 300 specie, tutte originarie dell’America centrale. La specie piú comune e diffusa in Kenya é l’Agave Sisaliana. Il nome generico deriva dal greco “agaue” che significa nobile, splendida mentre il nome specifico deriva da Sisal, citta portuale dello Yucatan da cui veniva esportata la fibra ricavata dalle sue foglie.
Si tratta di una pianta perenne monocarpica, ossia che fiorisce una sola volta nella vita e poi muore. Tuttavia, prima che l’Agave fiorisca deve passare molto tempo, perché deve raggiungere la maturità: in base alle differenti specie e alle loro condizioni vegetative, questo lasso di tempo può variare dai 3 fino, addirittura ai 50 anni.
L’Agave è caratterizzata da foglie carnose dalla forma allungata, bordate da spine e disposte a rosetta che possono raggiungere anche i due metri e mezzo di lunghezza ed una larghezza di circa trenta centimetri. Dalle sue foglie si ricava la fibra di sisal molto resistente e ampiamente utilizzata in tutto il mondo, dalla pianta si possono anche ricavare bevande come la tequila, il pulque e il mezcal. Fin dalla preistoria, l’uomo ha utilizzato la sua fibra naturale prima per la creazione di cordame e poi di manufatti artigianali. Diffusa dapprima in Messico e poi in Brasile, oggi il principale esportatore di sisal, successivamente nell’Africa Orientale soprattutto in Kenya e Tanzania.
Negli ultimi anni l’interesse nei confronti di questa fibra è notevolmente cresciuto per via della sua sostenibilità ambientale, caratteristica per cui sta progressivamente sostituendo alcuni materiali plastici e la fibra di vetro.
Le principali coltivazioni si trovano in Brasile, Cina, Cuba, Kenya, Haiti, Madagascar e Messico. In Kenya il sisal è la sesta più importante coltura commerciale dopo tè, caffè, zucchero, piretro e cotone. L'industria della coltivazione e della lavorazione del sisal in Kenya può essere fatta risalire al 1914, quando fu fondata a Thika la prima piantagione.
La coltivazione di sisal é principalmente fatta su larga scala nella regione costiera con un totale di cique piantagioni tra cui Vipingo, Kilifi e Kwale.
Oltre alla fibra, che costituisce il 4% della foglia dell’Agave Sisaliana, l’industria del sisal genera una grande quantitá di biomassa comunemente chiamata “sisal waste”.
Questo é quanto avviene anche nella Kilifi Plantation dove, nonostante vi sia solo un piccolo produttore, si produce una sisal di ottima qualitá riconosciuta a livello mondiale.
La fibra di sisal viene estratta con un processo di decorticazione, le foglie vengono tagliate spesso a mano e poi trasportate in un impianto centrale di decorticazione per romperle e schiacciarle.
Successivamente la fibra grezza viene accuratamente lavata e appesa ad asciugare su lunghi supporti con funi tese, spazzolata ed imballata in gran parte per l’esportazione. Gli scarti di sisal vengono utilizzati per l’impianto di biogas della fattoria e talvolta e anche usato come mangime per il bestiame durante la stagione secca.
Questa fibra tessile molto ruvida al tatto, ha una trama grossolana ed é di color ecru chiaro ma lasciandola per molto tempo al sole puo scurirsi fino a diventare quasi bruna. Grazie alla sua resistenza, sia alle trazioni meccaniche che alle intemperie, é una fibra molto versatile che viene utilizzata in diversi ambibti come ad esempio la produzione di corde e spaghi, di ceste e tappeti e anche spazzole e spugne.
La coltivazione del prodotto fibroso dell’agave è diffusa principalmente nella regione costiera e il dato confortante è che oggi, grazie alla grande richiesta, il mercato locale delle piantagioni non è appannaggio solo dei grandi coltivatori che sono stranieri o ricchi proprietari terrieri locali, ma anche i piccoli contadini locali hanno iniziato a piantarla e commerciarla, aprendosi a nuovi mercati per guadagnarsi da vivere grazie a questa pianta. Trovando quindi un'occupazione sana e redditizia.
Secondo Fibre Crops la domanda di sisal è destinata a salire.
Buone notizie quindi per quel tipo di mercato e di economia "green" di cui il Kenya ha bisogno per crescere nel reddito delle piccole e medie imprese, e nel lavoro salariato per la manodopera senza bisogno di edilizia (selvaggia o meno) ed industrie invasive ed inquinanti.
SATIRA
di Freddie del Curatolo
L’Africa si chiama “Affrica” con due F.
Il Kenya si chiama “Kenia” con la I.