TURISMO
31-03-2025 di redazione
Con un’alta stagione turistica suggellata da centinaia di presenze italiane, specialmente nelle località più ambite della costa keniana, da Watamu a Diani, da Kilifi a Lamu, non poteva che tornare prepotentemente alla ribalta il desiderio da parte di chi si è approcciato a Kenya come turista ed è stato colto dal fatidico “mal d’Africa”, o almeno è convinto di aver contratto la sindrome, pur avendo visto (e capito) solo un centomilionesimo di quello che l’intero continente rappresenta.
Se, come diceva il grande scrittore Ryszard Kapuscinski, che siamo soliti citare, “è solo per comodità che la chiamiamo Africa, in realtà l’Africa non esiste” perché è un insieme di tantissimi microcosmi, una vacanza di una o due settimane in un sottomicrocosmo come può essere una località balneare sull’oceano indiano o un parco naturale in savana, non dovrebbe essere indicativa di un afflato così deciso da portare un adulto a considerare il trasferimento in quella terra.
Perchè questo avviene eccome, e lo testimoniano le decine di richieste attraverso la nostra casella e-mail e i social network che gestiamo (specialmente il gruppo Italiani in Kenya su Facebook).
Ogni giorno riceviamo domande su “com’è la vita in Kenya” o se sia facile o meno trovare un lavoro, o ancora se si possa campare con una pensione accettabile o affittando il proprio appartamento in Italia.
C’è chi lo ha fatto negli anni passati, chi continua a farlo. Tanti ci provano e dopo qualche mese o anno tornano in Italia, mentre altri si sono ormai stabiliti.
Se possiamo darvi qualche consiglio, per prima cosa, valutate bene il perché del vostro desiderio di cambiare vita, identificando il Kenya come nuova meta.
“E’ troppo facile fuggire quando tutto è storto” diceva qualcuno, anni fa, e ci ha fatto anche una canzone il cui ritornello ripeteva “parti, ma non aspettarti un party”, nel senso che non sono rose e fiori, e che la visione di una vacanza nasconde poi tutte le problematiche di un Paese straniero e per giunta di un continente difficile, per quanto affascinante e futuribile o, come si dice oggi, “in via di sviluppo”, per cancellare quel “terzo mondo” che suona come tutte le espressioni che il buonismo di facciata sta rottamando. Potremmo anche dire “diversamente povero” o qualcosa di simile.
Noi consigliamo da sempre a chi davvero vuole trasferirsi in Kenya, un periodo di adattamento che non sia una vacanza, e in secondo luogo valutare l’ipotesi del cambio vita solo se si possiede una somma di denaro per sistemarsi. Ormai non esistono più destinazioni in cui si può arrivare senza un gruzzoletto in tasca e sperare di vivere alla giornata o trovare qualcosa da fare senza entrare nel giogo della burocrazia, dei permessi e delle regole.
E quel gruzzoletto, ogni anno che passa, deve essere sempre più cospicuo.
Per lavorare in proprio, ad esempio, serve un investimento iniziale di circa 80 mila euro, e il permesso di lavoro, valido 2 anni, ne costa 4000. Se poi pensate di poter lavorare da dipendente, magari nella vostra professione, sappiate che dal 2024 un permesso di lavoro da dipendente costa esattamente il doppio, cioè 8000 euro per 2 anni. In pochi datori di lavoro assumerebbero un dipendente straniero a questi costi, a meno che non si tratti di una professionalità importante, dallo stipendio già alto e ammortizzabile, ad esempio uno chef titolato, o un designer dal curriculum di tutto rispetto, o un professionista in campi in cui ancora i keniani non sono competitivi.
Non ascoltate chi vi assicura che in Kenya si può lavorare anche senza permessi! Nel caso più probabile, sono “faciloni” abituati a fare le cose trasversalmente, fidando in uno dei Paesi più corrotti d’Africa. Ma tanti casi di connazionali arrestati ed espulsi dal Kenya raccontano una storia diversa. Così come chi vi consiglia di aprire una società con un cittadino keniano, e intestargli le quote. Anche questo sistema, per quanto caldeggiato da tanti, non porterà da nessuna parte, soprattutto non vi garantirà di poter soggiornare tranquillamente in Kenya.
“Voglio vivere in Kenya”, è più facile a dirsi che a farsi, insomma. A meno che non si abbiano da parte un po’ di soldi e non si facciano investimenti e programmi a ragione molto veduta, e non solo perché si ha “il mal d’Africa”.
Tutto il resto, potrà essere nuovo ed entusiasmante, ma solo se ci sarà prima parecchio cervello.
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