Storie

IL VIAGGIO

Quattro giorni prigioniero a Istanbul sognando il Kenya

Il racconto di uno degli italiani fermi nella metropoli turca sommersa dalla neve

10-01-2017 di Giovanni Tartaglia

Spesso durante il normale e, a volte, noioso trascorrere della nostra esistenza, immaginiamo di andare lontano, di evadere o semplicemente di fare un bel viaggio, semmai, meglio, durante il periodo invernale. Sì, gli occhi che vedo negli aeroporti quando mi capita, fortunatamente, spesso, di prendere questi “mostri” volanti, parlano di questo: evasione, speranza, vita nuova, avventura. Questa volta no.
Questa volta gli occhi delle persone che ho incontrato (occhi profondi, occhi diversi, occhi spersi) parlavano di timore, di abbandono, di “chi me lo ha fatto fare”... ebbene sì sono gli occhi di cinquemila passeggeri, provenienti da ogni parte del mondo, bloccati nell'aeroporto di Ataturk a Istanbul dal giorno dell'Epifania.
Ho incontrato Italiani bianchicci che avevano come destinazione finale mete equatoriali, ho incontrato italiani che tornavano, molto più scuri, dalle stesse mete; ho incrociato sguardi orientali che avevano come unica speranza quella di rientrare a casa perché al seguito c'erano i propri pargoli; ho potuto notare donne (di ogni colore) stringere a se i propri cuccioli dopo ore estenuati di attesa; ho visto uomini difendere la propria famiglia, in ogni modo, sfidando lo sguardo arcigno dei nuovi ottomani; ho visto giovani coppie abbracciarsi e godere della loro intimità anche tra tanta disperazione; ho visto gli occhi più belli, quelli dei bambini. Loro non hanno nazionalità, non hanno colore, non hanno appartenenza se non quella della speranza, della bellezza, dell'amore.. i loro occhi parlavano solo di quello.
Sono, siamo ancora qui, ad Istambul, la vecchia città che da sempre rappresenta il ponte tra l'Oriente e l'Occidente... Il fascino di Bisanzio sommersa dalla neve resterà nel mio immaginario per sempre .. come, credo questa esperienza! Si perché credo che questa città sia proprio come il Bosforo, geograficamente insegni: una linea di congiunzione tra i popoli che, oggi, troppo spesso sono divisi da questioni, politiche, religiose o, semplicemente, sportive. Ciò che ha insegnato questo straordinario evento meteorologico è che, alla fine, tutti, ma proprio tutti, abbiamo bisogno gli uni degli altri.. la Natura lo sa, lei non sbaglia mai, così, a volte, ci aiuta a ricordarlo! Si perché a parte gli occhi di questa esperienza ricorderò le mani..mani che si uniscono in segno di speranza, mani che si giungono in segno di preghiera, mani che con altre mani hanno cercato di aiutare anche chi solo qualche ora prima rappresentava un passeggero che occupava il sedile di fianco. Infine il ricordo più forte è per chi in tutta questa emergenza si è sforzato per rendere tutti i disagi meno importanti... il personale dell'aeroporto di Ataturk che unitamente a quello della Turkish Airlines ha lavorato (continua a farlo) ininterrottamente per cercare di ridimensionare ciò che la Natura in poche ore aveva provveduto a fare. Certo si poteva fare meglio, certo l'organizzazione è stata poco solerte, certo tante cose (file estenuanti, comunicazioni inesistenti, poca gentilezza di base) potevano essere gestite diversamente, ma, mi chiedo, siamo certi che in altre parti del mondo non ci sarebbero stati gli stessi disagi? Io dico di no.
Istanbul, 10 gennaio 2017, ore 16,45. Un passeggero in transito per solo due ore dal 6 gennaio 2017 dalle ore 19,30.   

TAGS: Istanbul Mombasa Giovanni TartagliaTurkish Mombasa

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