MAL D'AFRICA
07-02-2013 di Giorgio "Ole Chuma" Ferro
Come assiduo navigante (browser) su internet ho letto corrispondenze d'alcune centinaia di persone che hanno visitato il Kenya.
Circa l'80% di queste dicono di essere state colpite dal "Mal d'Africa".
Questa condizione non é una malattia fisica tropicale come la malaria o la febbre gialla.
Si tratta invece di una "patologia" mentale incurabile, acquisita da quasi tutti gli europei residenti in Africa. I soggetti a rischio comprendono tutte le categorie dei così detti colonizzatori: esploratori, avventurieri, minatori, militari, funzionari, missionari, cacciatori, nobili decaduti e non, fuoriusciti politici, pervertiti sessuali, pedofili e altri che non credono alla monogamia della vita.
I primi sintomi si avvertono subito dopo aver attraversato il Mediterraneo.
Appena si mette piedi sul continente nero, ci si sente avvolti da atmosfera esilarante. L'impatto del clima saponifico, la visione di terre e vegetazioni diverse, gli aromi delle spezie che pervadono le strade e i mercati, i primi contatti con gente e costumi "primitivi", l'apparente attitudine di sottomissione dei nativi verso il "padrone" bianco, specialmente se in divisa o danaroso (bwana shilingii mingi) provocano un forte desiderio di distacco dalle regole e tradizioni del paese "civile" di provenienza.
Nell'ambiente Anglo-Sassone era in voga l'abitudine di gettare in mare la Bibbia non appena attraversavano il canale di Suez.
Alcuni missionari, affascinati dal "Continente Nero", non gettavano in mare la Bibbia, ma solo la tonaca.
La leggenda della "legione perduta" romana, mandata a scoprire le sorgenti del Nilo, e non piú ritornata, fa pensare che quei legionari siano stati anche loro vittime di quel male, oltre che della malaria, febbre gialla e tutto il resto.
Il Kenya, appena aperto alla colonizzazione si dimostrava subito territorio contagiato da questa patologia. Tra i piú gravi sofferenti erano le pecore nere dell'aristocrazia britannica, con un pizzico di ricchi americani depravati, che davano vita alla famosa banda della "Happy Valley" (la valle felice) schierati in quel che ora va sotto il nome del distretto di Nyandarwa lungo la "Wanjoi Valley attorno a Kipipiri. Questi aristocratici erano stati "esiliati" in Kenya dalle loro famiglie con sufficiente appannaggio, che li permettevano di condurre una vita di continue baldorie purché rimanessero lontani dalla patria.
Dove si becca questa "malattia"? Dappertutto. Nel mio caso v'incappavo nel quadrilatero compreso tra le località di Nyeri, T. Falls, Rumuruti e Nanyuki a cavallo dell'Equatore ad oltre 2000 metri sul mare. Questa zona presenta delle panoramiche da paradiso terrestre. Ad Est il massiccio del monte Kenya, che sorge dalla pianura in splendida solitudine, ad Ovest la catena montuosa dell'Alberdare, e a nord l'immenso altopiano pianeggiante di Laikipia che si estende fino al lago Rodolfo. Una regione particolarmente a rischio per i connazionali è quella costiera dal sud di Mombasa fino al nord di Malindi.
Da tutte queste località emanano delle attrattive quasi irresistibili per l'uomo bianco che scende dal gelido Nord, o proviene dalle conurbazioni urbane dei paesi cosi detti civili. Qua si respira l'aria pura (eccetto ora a Nairobi) l'atmosfera della natura primitiva che comprende la gente di colore, gli animali selvaggi, le fitte foreste, le sconfinate brughiere e il clima generalmente mite tutto l'anno
Per i "costieri" l'attrazione dell'Oceano Indiano, con l'abbondanza di pesci d'alto mare, i nativi generalmente "amichevoli", il tenore di vita comunemente "allegro" è piú che sufficiente per giustificare e accettare la "sofferenza" del "Mal d'Africa"
Che questa "patologia" sia accettata piacevolmente n'è testimone, tra tanti altri, Aidan Hartely, corrispondente da Laikipia della rivista inglese The Spectator che recentemente commentava col titolo di un articolo "More Than Heaven" (piú che in paradiso) la vita sull'altipiano omonimo. Ai tempi della colonia era in voga la domanda: << Sei sposato o vivi in Kenya?>>
In gioventù un mio insegnante, ex missionario d'Africa, ogni tanto ci diceva: << l'Africa, o la bruci o ti brucia >> Purtroppo questa "godevole" malattia è stata scottante per tanti europei (e connazionali) tra i quali il missionario di cui sopra, rimpatriato dalle autorità religiose con la tonaca a brandelli. La maggioranza dei "malati" che non la reggono, appartengono ad una categoria che gli inglesi definiscono "innocents abroad" (innocenti all'estero).
Questi non solo si fanno ridurre a brandelli i pantaloni ma anche il portafoglio dalle "sirenette tropicali" seguaci della filosofia africana che dice:<< L'amore è un lusso della gente ricca che non possiamo permetterci. Per noi è sufficiente "mangiare" >> ( Kula mali ya muzungu) Buona convalescenza a tutti!
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