RACCONTI
03-11-2020 di Claudia Peli
Se Hansel e Gretel fossero stati bambini giriama non avrebbero trovato nel bush una casetta di zucchero, ma una bella capanna di merda secca.
Scommetto che non sarebbero entrati a curiosare e probabilmente non si sarebbero messi nei guai con quella vecchia racchia della strega.
Che sapore avrebbero avuto le favole con cui siamo cresciuti se fossero state ambientate nel bush tra Malindi e Watamu, anziché nei boschetti incantati d’ Europa?
Sapore di ugali e mcicha.
E un buon profumo di oceano e di sole.
Con questa riflessione elegante e profonda comincio a raccontarvi del giorno in cui mi venne l’idea di leggere al figlio del mio askari Kamau le favole che un tempo la mia nonna leggeva a me, nell’orto dei pomodori dietro casa.
“Jumaaaaaaa! Vieni fuori dal bidone del taka taka! Lo so che sei nascosto lì dentro a ravanare.”
La sua testolina fa capolino dal secchio blu, immobile come un geko in punta, coi grandi occhi che mi studiano.
Nota il grosso libro che tengo in mano e incuriosito allunga il collo.
“Dai vieni qui, ti faccio vedere una cosa bella.”
Gli mostro la copertina colorata.
Mi corre incontro festoso e mi tende le mani aperte.
“Ohi! Giù le zampette luride. Prima ci si lava, lo sai piccoletto!”
Juma corre alla canna dell’acqua in fondo al giardino e si fa una doccia veloce e approssimativa, va bene lo stesso.
“Regalo per me?” Mi chiede fiducioso.
“No, è mio. E’ un libro di favole, pieno di disegni colorati. Lo guardiamo insieme.”
Lo sfoglio sotto i suoi occhi che luccicano incantati, poi gli dico di seguirmi sul retro e ci andiamo a sedere sotto il frangipani.
Vado all’ultima pagina e consulto l’indice dei titoli, credo che attaccherò con Cappuccetto Rosso.
Juma emette un gridolino di gioia.
“Cappuccetto Rosso è maasai!”
Esulta puntando il dito sul disegno.
“Uh…?”
Questa cosa non l’avevo mai considerata, e non lo voglio deludere.
“Certo, hai ragione. E’ una bella bambina maasai che pascola le capre; un giorno la mamma le concede il day off e la manda a trovare la nonnina che vive in una manyatta dall’altra parte del Maasai Mara….”
“Ooooooh…..”
“Una bella mattina la nostra coraggiosa Cappuccetto si inoltra nella savana selvaggia col suo bel cestino pieno di chapati appena sfornato …”
E così comincia la mia favola un po’ taroccata e mentre gliela narro Juma mi ascolta a bocca aperta seguendo i contorni dei disegni col dito.
I suoi genitori sono analfabeti e non gli hanno mai letto niente.
Mi chiedo se almeno gli raccontino qualche volta una fiaba africana tramandata oralmente.
Quando arrivo al punto dove il lupo (oops, il leone…) si mangia la nonna in un boccone, faccio una smorfia spaventosa per dare enfasi alla tragedia, ma Juma rimane indifferente.
“Ma non ti dispiace per la nonna? E adesso cosa fa Cappuccetto Maasai senza la sua nonnina? A chi porta il chapati?”
“Va a trovare le altre sei.” Mi risponde sereno.
“Ma che…?”
Ecco un’altra cosa che non avevo considerato.
Qui in Africa hanno nonne in abbondanza, ce n’è sempre una di scorta, anche al decesso della quarta o della quinta, una nonna salta comunque sempre fuori da qualche parte.
“Certo Juma, hai ragione, ma questa nonna è davvero la preferita di Cappuccetto Maasai.”
Il piccoletto alza le spalle, forse non afferra il concetto di preferito. Invece si entusiasma quando arriviamo al punto in cui il cacciatore/ranger affronta coraggiosamente il lupo/leone e lo ammazza.
“Come papà tanti anni fa!” Esulta orgoglioso.
Ma quale padre? Quel pigrone con la camicia slacciata e la pancia di fuori che sta tutto il giorno a far finta di far la guardia al mio cancello?
No, sicuramente intende un altro papà, ne avrà due o tre anche di questi.
“Papà ammazzato leopardo grande. Con mani.”
“Te lo ha detto lui?”
Annuisce serissimo e guarda verso il cancello, dove Kamau è appisolato contro la siepe, anzi praticamente dentro la siepe.
Ma sì facciamoglielo credere, tutti i bambini del mondo vogliono pensare che il loro padre sia un eroe.
“E’ vero, il tuo papà è molto coraggioso.”
E mi viene in mente che due settimane fa ha infilzato con audacia la rana toro che gracidava a squarciagola ogni notte sotto la finestra della mia camera. Atto eroico che gli è valso un bonus di 200 scellini.
La favola è finita.
Ne scegliamo un’altra?
Biancaneve e i sette nani, mi è sempre piaciuta parecchio.
Juma guarda attentamente i disegni, studia per bene i nani, poi guarda me.
“Dove nano nero? Tutti nani mzungu.” Protesta.
Ha ragione, che ingiustizia: c’è brontolo, mammolo, cucciolo e tutti gli altri, ma manca il nano giriama!
Se i fratelli Grimm fossero stati a conoscenza dell’esistenza di questa allegra e gioviale tribù del Kenya quando scrivevano le loro fiabe, chissà quanti altri capolavori sarebbero usciti dalle loro penne.
“Katanolo, kazungolo e kamauolo sono partiti per una lunga missione verso il lago Turkana.”
Gli spiego, ma non lo convinco.
Juma è stufo, dice che i suoi amichetti lo aspettano giù in strada per giocare a tirar sassi ai corvi sui rami, e mi lascia sola sotto il frangipani a lavorare di fantasia.
Se la bella addormentata nel bush fosse stata una studentessa di Nairobi si sarebbe svegliata molto prima per andare a caccia di un principe o di un vecchio re che la mantenesse.
Biancaneve sarebbe stata più abbronzata e avrebbe ricevuto una papaia anziché una mela dalla strega malvagia.
La zucca di cenerentola sarebbe stata un tuk tuk o un matatu?
Il principe azzurro un aitante beach boy?
E il nostro Pinocchio? Lui no, sarebbe stato esattamente così: l’indole locale ce l’aveva già.
Sento Juma che urla di gioia, deve aver preso un corvo in pieno.
L’anno prossimo andrà a scuola e imparerà a leggere e a scrivere; magari si appassionerà alla letteratura e da grande scriverà qualcosa di suo.
Si sa che il talento può rendere liberi.
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