MAL D'AFRICA
07-10-2015 di Gianfranco
I colori. Raramente ne ho vissuti di così vividi.
Pennellate di cielo, argilla, natura verde da rimanere incantati.
Ogni cosa che si muove in questo scenario ha la possibilità di catturare la tua attenzione: una capretta, una lucertola, una donna con il suo bambino sulla schiena, accovacciato in un pareo che gli fa da culla. Il mondo africano si snoda in dignitosa povertà davanti ai miei occhi e mi cattura. Questo provo mentre scopro l’Africa sulla strada che mi conduce a Malindi.
E’ una sensazione di benessere a prescindere.
Sembra tutto così naturale che sopporto anche visioni misere e disdicevoli: vecchi storpi, ragazzini denutriti e adulti alle prese con lavori faticosi appena dopo il ponte di Kilifi.
Dove l’Africa lascia spazio agli insediamenti, alla civiltà, ecco farsi largo la condizione umana.
C’è sporcizia, disordine, odore di complicazioni.
Poi è di nuovo natura, fiori, profumi di libertà e spazi infiniti. Che sia anche questo continuo paragone, questo alternarsi di situazioni a farmi innamorare?
Il mal d’Africa entra nelle ossa definitivamente quando metto piede nella villa dell’amico che mi ospita a Malindi. Non è il lusso, il giardino ben curato, la piscina, il pranzo a base di crostacei con cui sono stato accolto.
E’ l’atmosfera generale, il sorriso delle persone. Avrei potuto trovarmi fuori da una capanna, mangiare polenta e fagioli. Mi sarei scoperto con la stessa espressione ebete e con identica serenità interiore.
Eccomi, sono in Africa e ho contratto la famosa malattia! Vorrei conoscere altri malati come me, capire se provano le stesse emozioni soltanto addentrandosi a piedi nella cittadella araba di Shela, passeggiando sulla spiaggia di Silversand, salendo su un tuk-tuk che ti porta al mercato nuovo.
Stare bene, dalla mattina alla sera, qualcosa che avevo dimenticato.
Non soffro la lentezza, anzi imparo ad apprezzarla. Posso stare a parlare un’ora con un vecchio arabo che mi racconta la storia delle moschee di Malindi, poi intrattenermi con un ragazzo che cerca a tutti i costi di vendermi inutili portachiavi a forma di animali. Mangio frutta dolce, mi tuffo in mare quando voglio e capisco di poter essere utile a tante persone, quando entro in una scuola elementare in cui c’è bisogno di tutto. Ho capito che cos’è il mal d’Africa: è la chiave di lettura della tua vita, è una spia che si accende quando hai trovato finalmente il tuo luogo, il senso della tua vita.
Purtroppo, per permettermi tutto questo, devo tornare in Italia a lavorare e, inevitabilmente, la luce spia si spegne.
Ogni volta sopportare questo diventa più difficile. Così come è difficile rapportarsi con tutte quelle persone che, poveri loro, non hanno mai provato cosa vuol dire avere il mal d’Africa. Cerco di spiegarlo, ma sono troppo legati alle piccole cose.
“Ma come farai a stare bene in quel posto, con tutti quegli insetti” o “non potrei sopportare di sudare dalla mattina alla sera”.
Non capiscono che le cose importanti sono altre: essere padroni del proprio tempo, alzarsi gioiosi di stare a questo mondo e non impauriti perché un giorno o l’altro bisognerà lasciarlo.
Il Mal d’Africa, che meraviglioso insegnamento!
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Watamu la bella.
Malindi la magica.
Watamu la giovane e frizzante.
Malindi antica ma ancora interessante.
Io in Chenia non ci volevo tornare.
Non che non mi aveva piaciuto, anzi di più!
Mi avevo goduto addosso a profusione.
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