TERRITORIO
26-01-2017 di redazione
Malindi è una cittadina che si affaccia sulle rive dell’Oceano Indiano, situata a 120 km circa da Mombasa e a poche miglia dalla foce del fiume Sabaki, che nel suo alto corso viene chiamato Galana ed è di fatto il secondo fiume per importanza e bacino idrico del Kenya dopo il Tana River, ma il più lungo.
La sua popolazione si aggira intorno alle 40 mila unità, di cui più di un decimo sono occidentali, ma l'intero distretto, che comprende anche Watamu e Mambrui, oltre a numerosi villaggi nell'interno. arriva a contare più di centomila abitanti. Altre minoranze sono rappresentate da indiani o cittadini kenioti di origine indiana (stesso discorso vale per gli arabi).
L’economia di Malindi si basa prevalentemente sul turismo da quando agli hotel britannici e tedeschi si sono affiancate strutture alberghiere italiane.
Dalla prima metà degli anni Ottanta sono state aperte anche altre attività: bar, ristoranti, casino, discoteche, boutique e aziende legate trasversalmente al turismo e all’insediamento di stranieri sulla costa, come import-export, falegnamerie e laboratori di artigianato, piccole industrie alimentari e soprattutto attività nel campo dell’edilizia.
Il centro storico si snoda attorno alla stazione degli autobus, attraverso due strade che formano una Y, nel quartiere detto “Barani”. Antica e caratteristica è la cittadella araba di Shela, una serie di vicoli e vicoletti, tra Moschee e piccole case con cortili. A Malindi ci sono ben dodici moschee, ma sono presenti anche diverse chiese di culto cristiano cattolico e protestante.
L’integrazione tra le due religioni, che altrove non è affatto facile, in Kenya è serena e pacifica, con reciproco rispetto.
Quasi un esempio per i credenti di tutto il mondo. Dal porto e lungo la battigia fino alla punta detta di Vasco Da Gama, le costruzioni arabe si mescolano con resti della dominazione portoghese, tra cui il palazzo che ospita il museo storico di Malindi e il cimitero lusitano, fino al monumento dedicato all’esploratore che sbarco a Malindi nel 1498, il Vasco Da Gama Pillar, che è di fatto il simbolo della cittadina.
Dietro alla punta che porta il nome del navigatore, si estende la spiaggia detta della sabbia argentata (silversand), sulla quale si affacciano molti hotel, villaggi turistici, ristoranti e stabilimenti balneari. Si raggiunge, nell’estremo sud di Malindi, il quartiere residenziale di Casuarina, immerso nel verde di palme e baobab e colorato dalle buganvillee e dal terreno corallino. Qui ci si affaccia sulla spiaggia del parco marino di Malindi, zona protetta dal Kenya Wildlife Service (KWS), il cui mare dalle splendide sfumature di blu e la barriera corallina offrono la possibilità di immersioni e indimenticabili safari marini. Da qui ogni villaggio e anche i privati si imbarcano per raggiungere i fondali più suggestivi e le bellissime spiagge di Mayungu.
La parte a nord della cittadina, seguendo la strada che porta verso Lamu, costituisce l’arteria commerciale di nuova costruzione. Lungo “Lamu Road” si incrociano banche, centri commerciali, supermercati e negozi, le due discoteche più frequentate dai turisti, i tre bar dove bere l’espresso, trattorie, pizzerie e il casino con il suo ristorante. Andando in direzione di Mambrui, s’incontrano altri residence e villaggi turistici che guardano verso l’immensa e selvaggia spiaggia in cui l’oceano non è protetto dalla barriera corallina. Altri colori, paesaggi e altre profondità di cielo. Qui è possibile prendere un cavallo e galoppare fino al fiume, per vedere fenicotteri e ippopotami, andare in “quad” sulle dune o giocare a golf con vista mare. Il raccolto quartiere di villette di Kibokoni delimita a nord Malindi, mentre la strada, attraversando il fiume sabaki con un ponte, va verso il confine con la Somalia, che dista circa 300 chilometri.
La Storia
Anticamente era Melinde. Così era chiamato il porto attorno a cui, all’inizio dell’anno mille, iniziarono a svilupparsi traffici marittimi di navi arabe sulla rotta tra l’Oman e il sultanato di Zanzibar. Attorno al porto di Melinde si sviluppò un fiorente mercato di frutta e spezie, senza dimenticare la fauna ittica, che offriva approvvigionamento a chi vi sostava durante viaggi ed esplorazioni.
Nel tredicesimo secolo Malindi era già una cittadina, con popolazioni che vi affluivano anche via terra. Alle soglie del 1500 la cittadina già rivaleggiava con Mombasa per il traffico di spezie e di prodotti della terra (in particolare prodotti ricavati dalla canna da zucchero), ma non distante da Malindi vi era la possibilità di cacciare gli elefanti e trattare il preziosissimo avorio, tanto che molti arabi vi si trasferirono e vi costruirono case, riducendo gli indigeni in schiavitù. La cittadella araba si estendeva dove sorge oggi il caratteristico quartiere di Shela, proprio a ridosso dell’ordierno porto. Era circondata da mura rudimentali, quindi non era difficile penetrarvi. Benché avesse subito a più riprese l’invasione via terra di tribù somale, particolarmente i temibili Galla, la cittadina si evolveva e allargava i suoi commerci.
Nel 1498 sbarcò a Malindi l’esploratore portoghese Vasco Da Gama. Era il primo navigatore a spingersi così in là, durante la sua spedizione verso le Indie. Vasco da Gama si fermò per un po’ di tempo e fu accolto benevolmente dai signori di Malindi, ma un’epidemia di peste ne decimò l’equipaggio. Fu il sultano dell’Oman a venire in suo soccorso, offrendogli parte degli uomini necessari per riprendere il suo viaggio. In onore del portoghese venne fatto erigere il Vasco Da Gama Pillar, una torre segnaletica per naviganti, che divenne il simbolo della cittadina.
Se Da Gama era un esploratore mosso soprattutto dalla voglia di scoprire nuove terre e cambiare le mappe conosciute, entrando nella storia, i portoghesi che arrivarono successivamente, a cui suo malgrado il navigatore fece da apripista, non si curarono di instaurare buoni rapporti con i locali, né tantomeno con gli sceicchi e i sultani di origine araba. Arrivarono dapprima a Mombasa e la saccheggiarono, poi a Malindi fecero mambassa di qualsiasi genere e iniziarono una cruenta tratta degli schiavi.
Anche quando Mombasa tornò in mano agli arabi, Malindi era roccaforte lusitana e un secolo di guerre intestine la minarono, impoverendola e rendendola una sorta di porto disabitato, in cui ci si fermava per comprare e vendere schiavi o i pochi prodotti rimasti.
All’inizio del 1800, mentre si preparano le grandi esplorazioni tedesche e inglesi, Malindi torna sotto gli arabi che conquistano Fort Jesus, roccaforte dei portoghesi a Mombasa e, con l’aiuto dei sultani di Zanzibar e Lamu, si riprendono la costa keniota. Grazie al sultano Majir, Malindi vive una nuova età felice, con la costruzione di un nuovo porto e la ripresa dell’agricoltura e delle attività commerciali.
Alla fine del diciannovesimo secolo, gli inglesi, da Mombasa approdano a Malindi, dopo che i tedeschi, che si erano spinti fino a Witu, avevano ripiegato sulla Tanzania. I coloni britannici utilizzavano Malindi come “buen retiro” per dedicarsi alla pesca d’altura e partire alla volta del Tana River per la caccia grossa. Grazie a loro aumentò di anno in anno la presenza degli indiani anche a Malindi. Si dedicavano prevalentemente al commercio, facendo fiorire il mercato del tessile.
Il generale Lawford aprì all’inizio degli anni Trenta l’omonimo hotel, che ancora porta il suo nome. Vi affluivano imprenditori di Mombasa e anche avventurieri che avevano il quartier generale in quella che era diventata di fatto la capitale dell’East Africa, Nairobi.
Alla fine della seconda guerra mondiale, e con l’arrivo dei voli intercontinentali, Malindi è luogo turistico prediletto da inglesi, americani e tedeschi, tanto che sorgono altri due hotel, il Sindbad e l’Eden Roc. Oltre a Ernst Hemingway, che ha già celebrato il Kenya nel romanzo “Verdi colline d’Africa”, affluiscono personalità politiche ed economiche anglo-americane e iniziano ad arrivare anche altri europei.
Nel 1963, l’indipendenza del Kenya ridimensionò la figura dell’Impero Britannico nel Paese e molti ex coloni, raggiunta l’età della pensione, si trasferirono definitivamente a Malindi e Watamu, costruirono vile sul mare e Malindi si allargò specialmente a sud, dove sorge ai giorni nostri la zona di Casuarina. Negli anni Sessanta gli europei a Malindi sono più di 5.000, un terzo della popolazione locale. A metà degli anni Sessanta arrivano anche i primi italiani: dapprima i tecnici, gli ingegneri e gli operai specializzati della base italiana aerospaziale “Luigi Broglio” (meglio conosciuta come “Base San Marco”) di stanza a Ngomeni, trenta chilometri a nord di Malindi, poi cacciatori, avventurieri, amanti dell’Africa e primi teorici della “fuga dalla civiltà”.
Alla fine degli anni Ottanta sorgono i primi villaggi turistici, ristoranti italiani e alberghi. Negli anni Novanta il primo “boom” turistico di Malindi: tremila residenti tutto l’anno e migliaia di villeggianti nell’alta stagione. L’edilizia va a gonfie vele e molti europei scelgono Malindi come seconda casa, approfittando anche dei prezzi bassi e della qualità della vita in kenya.
Seguono alcuni anni di flessione dovuti alla guerra in Somalia, al virus Ebola, alla disinformazione dei media e della stampa italiana e agli attentati terroristici di Al-Qaeda a Nairobi e Mombasa. Sono specialmente i turisti della vacanza “tutto compreso” ad abbandonare Malindi, mentre chi ha la casa e chi vi lavora stringe i denti e la cinghia e attende tempi migliori.
Che puntualmente arrivano, favoriti anche dalla stabilità del governo e dalla ripresa economica del mondo occidentale.
Malindi torna ad essere paradiso delle vacanze, con la savana e il regno degli animali a due passi e l’Oceano Indiano a lambirla. La vendita di ville e appartamenti procede a gonfie vele, i “vip” sono ottimi testimonial per la costa keniota e le attività si moltiplicano. Migliora anche il tenore di vita della popolazione locale.
Tutto questo fino alle tragiche elezioni del dicembre 2007, che coinvolgono il nord del Paese ma di rimbalzo anche la costa, grazie a una campagna mediatica allarmistica e alla presa di posizione dei ministeri degli esteri europei. Dopo pochi mesi, un migliaio di vittime e parecchi profughi, nel Nord del Kenya a quasi mille chilometri di distanza dalla costa, si è giunti a una soluzione politica nel Paese.
A Malindi, anche in quel periodo di tensione, si è stati d’incanto per la giovialità e gentilezza della popolazione locale, lo splendore del paesaggio, la mitezza del clima e la presenza di ogni elemento della Natura, compresi i frutti del mare e della terra, in grado di deliziare chiunque vi soggiorni.
Il Clima
La fascia equatoriale, a cui Malindi e la costa keniota appartengono, si caratterizza per il passaggio dei monsoni. Quindi l’anno solare non è scandito dall’alternarsi delle quattro stagioni (ma questo, purtroppo, ormai vale anche per l’Europa). Al posto dell’inverno, in una zona geografica in cui per nove mesi all’anno la temperatura non scende mai sotto in venti gradi, c’è la stagione delle piogge, in cui i venti provenienti da est portano perturbazioni continue e la temperatura può scendere addirittura fino ai 18 gradi e raramente supera i 26. Solitamente le piogge iniziano a metà aprile, con sporadici acquazzoni, ma hanno il loro culmine tra metà maggio e i primi di luglio.
Da luglio in poi inizia una sorta di primavera africana, che trova la natura felicemente irrorata da tanta acqua e di un verde brillante e vivo, il vento fresco e asciutto chiamato “kusi” soffia imperiosamente e il tempo si aggiusta progressivamente. Intorno ai primi di ottobre il “kusi” viene sostituito da un vento caldo chiamato “kaskazi” che porta una leggera umidità (ma niente, in confronto all’umidità dell’estate italiana) e anche le cosiddette “piccole piogge” a novembre. Durano al massimo quindici giorni e da lì in poi è l’estate africana: secca, calda e accogliente. Il culmine delle temperature si raggiunge a febbraio e marzo (minima a 28 e massima a 37), poi il ciclo della natura torna dove aveva iniziato l’anno prima.
V’è da dire che la presenza del mare mitiga le condizioni di caldo torrido ma anche quelle di fresco di giugno e luglio. Per questo il clima della costa keniota, nella sua estensione annuale, è considerato tra i migliori del mondo.
I Musei
Il museo di Malindi si trova nella strada del porto (Vasco da Gama Road) ed è all'interno di un'antica costruzione portoghese con le colonne. Ospita la storia della cittadina rivisitata attraverso libri, carte nautiche e geografiche, documenti, fotografie e disegni di monumenti e case e altre informazioni e testimonianze della dominazione portoghese in particolare.
Non vi aspettate un vero museo, di tipo occidentale, ma è comunque una testimonianza di cultura e conservazione locale.
Orari di apertura al pubblico: dal lunedì al sabato, dalle 8.00 alle 18.00. E' aperto anche la domenica con gli stessi orari.
Biglietti d'ingresso: turisti 500 Kshs. (bambini fino a 10 anni 250 Kshs.) Residenti nell'East Africa: 400 Kshs. (bambini 200), cittadini kenioti 100 kshs (bambini 50 Kshs.)
Accanto alla cosiddetta "piazzetta del cambio" (Uhuru Garden) sorge invece il Museo Nazionale, aperto al pubblico ma funzionante soprattutto per eventi programmati.
Spesso sono allestite mostre fotografiche molto interessanti. Si possono comunque avere informazioni e disponibilità chiedendo della Malindi Museum Society, che ha i locali a fianco.
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