TURISMO
06-06-2022 di redazione
Negli ultimi anni il turismo gastronomico è cresciuto in maniera considerevole in tutto il mondo.
Lo si deve alla popolarità di certe trasmissioni e anche alla diffusione mediatica di piatti e relativi ristoranti specie nell’ambito dei social network.
Così anche in Kenya i turisti stanno scoprendo il "food tourism" che si traduce con un maggiore interesse per la cucina locale, particolarmente quella swahili della costa che per cultura e commistioni ha molti sapori, ricette e sorprese da proporre.
L'avvento del turismo gastronomico in Kenya non si concentra solo sui visitatori internazionali, ma anche su quelli nazionali, che sono turisti culinari a pieno titolo in virtù del fatto che si dedicano alla ricerca di gusti e sapori inediti.
Lo “street food” si è evoluto e anche se si tratta di piatti da consumare al volo, è piacevole vedere i banchetti ai lati delle strade come succede ormai a Watamu la sera lungo la via del centro e nuovi ristorantini locali che aprono.
Il caso più eclatante a Malindi è senza dubbio il Seafront, ristorantino swahili nella zona del Baobab aperto a pranzo e cena e pieno più o meno a tutte le ore. Con la tecnica del fast food, il Seafront (gestito da musulmani quindi rigorosamente senza alcolici) offre piatti che non solo sono gustosi ma offrono una panoramica della cucina della costa del Kenya: gamberetti al cocco con riso saltato, polpo in umido, pesce alla swahili e gli immancabili chapati, samosa e riso pilau.
Altro motivo del successo, la spesa media in locali come questo: difficilmente si esce a pancia piena avendo speso più di 4 euro. Come bevanda, da assaggiare il succo di tamarindo e a fine pasto il “black spiced tea”, un té con aggiunta di spezie profumatissime.
E’ rilevante il fatto che, soprattutto in questo periodo di turismo quasi esclusivamente locale, molti ristoranti internazionali abbiano deciso di inserire nei loro menu anche piatti tipici del Kenya. O che i loro cuochi sperimentino cucina fusion, abbinando suggestioni d’oriente a cibi africani e trattando la materia prima dell’oceano indiano con marinature o accostamenti del tutto europei.
Il crescente interesse per luoghi di piacere come il Crab Shack di Dabaso a Watamu, gestito da allevatori di granchi dove si possono gustare le uniche samosa con la loro freschissima polpa, o il più rustico “prawn lake” dove invece le samosa vengono farcite con i gamberi, è significativo. Il Swahili Café di Timboni è stato inserito nella guida allo Street Food in Kenya da un noto influencer locale. Sono quindi i turisti che provongono da Nairobi e qualche raro avventuriero europeo a scoprire questi angoli dove abbinare l’esperienza gastronomica alla bellezza di luoghi meno contaminati possibili.
Alcuni, specie quelli non di primo pelo e di stomaco delicato, si spingono anche più in là, nei chioschi e nelle taverne locali dove è il piatto nazionale, la “Nyama choma” (non è altro che carne di bovino adulto quasi abbrustolita alla griglia) e il pollo la fanno da padroni, ma certe verdure saltate come il cavolo stufato (tradizione mijikenda), la mchicha e la sukumawiki la fanno da padroni.
Qui, a differenza delle trattorie filo islamiche, si trova anche la birra che è sempre un bel connubio con certi cibi. Inutile dire che la “Tusker baridi sana” (la birra locale molto fredda) è un piacere, un sollievo e un accompagnamento ideale. La si può anche gustare in abbinamento allo street food che si incontra ad ogni angolo, specie a Mombasa, Malindi e Lamu: “viazi karai” (le patate impastellate con limone e pilipili), bajia (frittelline di verdure), cassava fritta (buonissima), focaccette al sesamo ed altre leccornie.
Per tutti gli altri, oltre che mastercard, c’è la buona, classica cucina internazionale di “pizzaland” e dintorni.
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