LIBRI
24-06-2017 di Freddie del Curatolo
La Malindi al femminile di Sara Cardelli colpisce nel segno e dipinge una realtà molto attuale e sganciata dai soliti luoghi comuni del turismo sessuale ai tropici o dell’avventura esotica.
“Mali d’Africa” (Ilmiolibro, 320pagg.) racconta la costa nord del Kenya popolata da donne italiane sole e padrone di sé stesse, e da aitanti e interessati beach boys di etnia Mijikenda che, inevitabilmente e senza bisogno di chissà quale “Stupid Cupid” vengono a contatto.
Come scenografia, l’avvolgente natura africana che attenua lo stridore e il paradosso di vedere e vivere allo stesso tempo i villaggi di capanne di fango e gli eleganti resort in riva all’Oceano Indiano, i riti funerari di gente povera e dignitosa e gli scatenati disco-party sulla spiaggia.
Malindi e Watamu, da almeno trent’anni, sono così: contraddizioni sociali ed economiche che convivono in un’instabile equilibrio che il clima, la meraviglia dei luoghi e la pace dei sensi riescono spesso a trasformare in armonia.
I “Mali d’Africa” di cui al titolo del romanzo, sono in realtà pene e lusinghe che la società occidentale ha da tempo esportato all’equatore e l’effetto che hanno provocato su quella parte della popolazione locale che vive di turismo.
Nel mezzo, e nel profondo di esistenze ed anime completamente diverse, l’amore e le sue tante sfaccettature.
Sara Cardelli, che come la protagonista del racconto ha vissuto a Malindi ed è tornata in Italia con un bel bambino, frutto di una relazione con un ragazzo giriama, tratteggia molto bene motivi e caratteri di Giulia, Jenny ed Eva, tre donne italiane che vivono la loro Africa e i loro rapporti (specialmente quelli con l’altro sesso, identificato con giovani e disponibili “operatori turistici” dai prodigiosi attributi e dagli improbabili soprannomi) in totale libertà.
Libertà di provare emozioni incontrollate, di imparare attraverso la sofferenza, di coltivare pensieri inediti e ingenui e di trarre conclusioni spesso troppo distanti dalla loro mentalità ma troppo vicine alla nuova realtà da non scottarsi.
Giulia cerca l’amore vero, Jenny la famiglia e la vita africana, Eva ha scelto quel misto di serenità interiore e cinismo fondamentali per vivere e lavorare da stranieri sulla costa keniana.
E’ lei a cui Sara fa dire che in Africa si arriva a voler ricordare anche le cose da dimenticare e che è meglio vivere di rimorsi che di rimpianti laddove è ancora più evidente che “ogni paradiso ha il suo inferno”.
L’ardore femminile che divora le protagoniste e fa divorare piacevolmente il romanzo (pur con gli inciampi di una scrittura priva di differenti piani narrativi) sta proprio nel desiderio delle protagoniste di “Sbagliare piuttosto che vivere con la consapevolezza di non averci provato”.
Perché alla fine, come si vedrà, non è vero che l’amore in Africa non esiste, è semplicemente uno dei tanti sentimenti sul mercato. Sono le componenti con cui le nostre coscienze occidentali lo hanno ingabbiato a riportarlo a terra: sesso, solitudine, gelosia.
E’ proprio la presenza degli ambitissimi palestrati da spiaggia e la loro condotta univoca e coerente la chiave della storia, ed è quasi un peccato che l’autrice non abbia voluto o saputo entrare maggiormente nella mentalità del maschio keniota, con dialoghi e momenti tra di loro, e non solo in relazione alle loro liaisons con le “mzungu”.
Perché altrimenti, se riduciamo tutto unicamente a denaro, tradimenti, truffe e menzogne, il romanzo avrebbe potuto intitolarsi tranquillamente “Mali d’Italia in Africa”.
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